Da qualche tempo ho pensato (male) di riprendere uno degli argomenti con cui probabilmente qualunque studente di qualsiasi corso di linguistica generale avrà dovuto fare i conti durante le prime lezioni: grammaticalità vs accettabilità, perché pare che il dibattito sia ancora molto acceso. Anzitutto proviamo a dare qualche definizione (sperando di essere quanto più chiara possibile e senza far inorridire nessun vero linguista).
Quando parliamo di grammaticalità, sicuramente qualcuno ricorderà il più che noto esempio riportato da Noam Chomsky al Capitolo 2 di Syntactic Structures (1957):
«Colorless green ideas sleep furiously»
che tradotta in italiano sarebbe una cosa del tipo “Idee verdi dormono furiosamente”. Un qualsiasi parlante inglese riconoscerebbe la frase come un nonsenso, ma solo grammaticale, perché rispetta la buona combinazione degli elementi lessicali all’interno della frase.
È proprio questa frase a catapultarci dritti verso il secondo problema (di cui lo stesso Chomsky parlerà esplicitamente solo nel 1965 in Aspects of the theory of syntax). Siamo d’accordo che la frase è un nonsenso, ovvero – a meno che non si tratti di una metafora – non siamo capaci di attribuirle un significato. Quindi il punto è proprio questo: la nozione di grammaticalità fa riferimento alla forma mentre quella di accettabilità al significato, o meglio come lo stesso Chomsky ci ricorda:
«Acceptability is a concept that belongs to the study of performance, whereas grammaticality belongs to the study of competence»
(Chomsky, 1965: 11).
Mi è capitato di dover provare a spiegare questi concetti e non riuscire a trasmettere bene quello che io credevo di aver capito. Qui mi è tornata in mente la frase di Einstein: “Se non lo sai spiegare in modo semplice, non l’hai capito abbastanza bene”. Ecco, sconforto a parte, credo di essere con il tempo arrivata ad una domanda facile che porrei a chiunque mi chiedesse di spiegare cosa intendo per accettabilità: “Se la frase è accettabile, in un contesto reale, la diresti?” (spero di non dover riprendere Einstein!).
Quando le frasi sono semplici non ci dovrebbero essere problemi. Cosa succede invece nel caso di frasi fortemente connotate geograficamente come “uscire la macchina” (in luogo di togliere la macchina dal garage) o “salire la spesa” (in luogo di portare la spesa a casa)? Un campano (o un siciliano) pronuncerebbe queste frasi senza problemi, e ai suoi corregionali non suonerebbero inaccettabili. Ecco: un altro dilemma. In realtà anche su questo punto ho scoperto che sono intervenuti vari linguisti, e pare sia proprio tutto collegato alla percezione dell’accettabilità.
L’esperienza sembra suggerire che i giudizi del parlante possano variare in base a fattori psicologici, sociali e culturali, e dunque che l’attendibilità dei dati osservativi rilevati in questo modo possa essere dubbia. Quindi generalmente per ovviare a questo problema vanno specificate le condizioni di uso dei giudizi di accettabilità. La percezione dell’accettabilità di una frase – secondo quanto mi ricorda il Capitolo 2 di Lessico e strutture della sintassi (Elia et al., 1981) – deve essere considerata un esperimento di laboratorio, ovvero deve essere effettuata sotto controllo costante del ricercatore. Ed è questo il motivo per cui i linguisti generalmente utilizzano la loro personale competenza della lingua e soltanto in un secondo momento ricorrono ai giudizi di accettabilità di altri parlanti. Una conseguenza immediata di questo procedimento è che i risultati delle analisi sono soggetti – come qualsiasi ricerca che si rispetti – a verifica e falsificazione.
Detto questo, nulla da temere. Quindi lo diresti: “uscire la macchina” e “salire la spesa”? Io sì. Ma è tutta questione di diatopia!