In tutto il mondo noi italiani siamo famosi, oltre che per la pizza e il mandolino, anche perché amiamo gesticolare mentre parliamo. Non è tuttavia solo una nostra prerogativa: tutti gli esseri umani gesticolano di continuo mentre parlano, e non senza una specifica ragione, anzi il contrario (seppur spesso non consapevoli). Alcuni autorevoli studiosi della disciplina (McNeill, 2005; Kendon, 2004) hanno parlato dei gesti come parte integrante e inseparabile del sistema linguistico perché possono aggiungere informazioni o significati al discorso che accompagnano e i bambini sembrano farne uso per rendere più chiare le frasi pronunciate (Colletta et al., 2015); possono essere impiegati per facilitare il recupero lessicale e il turno di parola (Stam, 2008) o sostenere la verbalizzazione del contenuto semantico (Hostetter et al., 2007). E potremmo continuare ancora a lungo… Certo è che gesticolare è insito nel nostro DNA e proprio non possiamo farne a meno. Per una sorta di orgoglio regionale, non posso non citare la più che nota ricerca svolta a Napoli nel 1991 da Adam Kendon – psicologo inglese, conosciuto per i suoi studi sul linguaggio dei gesti – in cui venne alla luce una maggiore e innata propensione all’uso della gestualità da parte dei campani. Eh sì, siamo fatti così.
Orgoglio a parte, nonostante possa sembrare ovvio cosa si intenda per “gesto” in realtà la questione è molto più complessa e per semplificazione possiamo affermare, riprendendo (Kendon, 2004) che “a gesture is a visible action of any body part, when it is used as an utterance, or as part of an utterance”. La loro produzione concomitante al parlato ha portato alla nascita di un filone di studi noti come co-gesture analysis. L’approfondimento di questa tematica – unita all’interesse per la comunicazione politica, oggetto della mia tesi di dottorato – ci ha portato a chiederci: ma come gesticolano i politici italiani? A quale scopo usano i gesti? L’appartenenza a questo o quel partito ha una qualche influenza sul modo di gesticolare?
A partire da queste piccole curiosità e usando come oggetto di studio PoliModal – un corpus multimodale di dominio politico in lingua italiana formato dalla trascrizione di 56 interviste face-to-face tratte dal talk-show “In mezz’ora in più” – abbiamo provato a rispondere a queste domande e per farlo ci siamo concentrati in particolare sui movimenti delle mani che risultano essere i co-speech gestures al momento più studiati (Wagner et al., 2014). Quindi come abbiamo fatto? In una prima fase di annotazione del corpus, si era già tenuto conto dei movimenti delle mani annotando però solo il modo di manifestarsi rispetto alla loro forma (su, giù, di lato ecc.) ma in questa fase avremmo dovuto tenere conto anche della loro funzione semantica, per coglierne il significato d’uso. Motivo per cui abbiamo deciso di aggiungere un ulteriore livello di annotazione che tenesse conto della funzione semantica dei movimenti delle mani. Seguendo la classificazione proposta da (Lin, 2017) adattando (Colletta et al. 2015) e (Kendon, 1972), abbiamo dunque attribuito cinque funzioni:
- Reinforcing: quando vi era concomitanza fra l’informazione portata dal gesto e quella delle parole prodotte. Ad esempio, nel pronunciare la frase: “Il 3% del rapporto deficit/PIL” le mani fanno il gesto del numero tre.
- Integrating: abbiamo usato questa etichetta quando il gesto non aggiungeva informazioni supplementari al messaggio verbale, ma rendeva più concreti concetti altrimenti astratti. Spesso – nel corpus dai noi analizzato – gli intervistati, nel parlare del rapporto contrastante fra destra e sinistra, utilizzano entrambe le mani portandole agli estremi lati del busto.
- Supplementary: in questo caso invece l’informazione portata dai gesti aggiungeva nuove notizie non codificate nel contenuto linguistico. Ad esempio, in una delle interviste in esame, il politico in questione commentava la quantità di membri che sarebbero entrati in Parlamento grazie al partito di opposizione, dicendo “…non so quanti parlamentari porterà in Parlamento” e nel frattempo apriva le braccia come per sottintendere in tono quasi polemico un gran numero.
- Complementary: questo tag è invece stato usato quando i gesti aggiungevano informazioni utili e necessarie al completamento dell’informazione linguistica. Il gesto di solito disambigua il messaggio, per esempio, nella nostra analisi è stato comune trovare casi in cui gli avverbi deittici come “qui” venissero accompagnati dal corrispondente gesto di puntamento.
- Contradictory: in questo caso l’informazione fornita dal gesto contraddice l’informazione linguistica fornita dal messaggio verbale. Questa tipologia gestuale non è mai stata riscontrata nel nostro dataset.
- Other: categoria residuale, usata nei casi di dubbio o impossibilità di classificazione in una delle categorie definite.
A seguito dell’annotazione abbiamo dunque diviso gli intervistati a seconda del partito di appartenenza (PD, Movimento 5 Stelle, Lega, CasaPound, Popolo delle Libertà) e quantificato le tipologie semantiche usate da ciascuno. Da questa prima analisi è emersa l’assenza di gesti di carattere contraddittorio, il cui utilizzo avrebbe potuto – a nostro avviso – minare la chiarezza necessaria in questo specifico contesto per non creare fraintendimenti. Idem per i gesti con valore supplementare. Un utilizzo preponderante è invece stato quello dei gesti di carattere integrativo, il cui utilizzo può essere interpretato come un tentativo di enfatizzare il contenuto del discorso senza bisogno di informazioni supplementari o complementari. A questo punto abbiamo fatto un’analisi statistica per provare a capire se il partito politico di appartenenza potesse influenzare l’uso della tipologia semantica usata, ma i numeri ci hanno dimostrato che questa ipotesi è priva di fondamento.
Non contenti, abbiamo portato avanti anche un’analisi qualitativa che è invece stata più interessante e ci ha consentito di entrare nel vivo del gesticolare, evidenziando interessanti differenze nell’atteggiamento e nello stile di comunicazione dei singoli politici. Ad esempio, Matteo Renzi è il politico rappresentato nel nostro corpus che più si avvale dei gesti mentre parla, soprattutto di carattere integrativo. Un esempio?
Matteo Renzi: “Quello che sta accadendo invece in queste settimane, in questi mesi, conferma che c’è una grande distanza tra la politica dei palazzi e la politica della quotidianità” [integrating].
Con questa frase Renzi sottolinea che la distanza tra la politica dell’élite – distaccata dai problemi reali del paese (“politica dei Palazzi”) – e la “politica della quotidianità” – cioè attenta alla realtà e ai cittadini – è sempre più evidente. Nel pronunciare questa frase porta la mano destra aperta lontana dal busto in corrispondenza dell’espressione metaforica “politica dei Palazzi” quasi a indicare qualcosa di distante in cui non si riconosce, mentre la mano sinistra punta verso il basso in corrispondenza dell’espressione “politica della quotidianità” come per indicare una politica che è invece attenta alle cose rilevanti e concrete in cui invece si sente di appartenere.
Questa è solo una delle piccole curiosità emerse dall’analisi che presenteremo il 16 Giugno nell’Oral Session 1 delle 17:05–17:35 nel corso del workshop on Multimodal Semantic Representations. Curiosi? Ci vediamo il 16 Giugno!